Emersi reperti che consentono di ricostruire vita quotidiana e organizzazione dell’abitato

Nuove scoperte da Canale Anfora, il villaggio protostorico antenato di Aquileia

A Terzo di Aquileia portato alla luce un settore dell’abitato specializzato in produzioni e lavorazioni domestiche. Seconda campagna di Ateneo e Soprintendenza archeologia del FVG

Gli archeologi dell’Università di Udine hanno fatto nuove scoperte nel sito del villaggio protostorico di Ca’ Baredi, a Terzo di Aquileia (Udine), che consentono di ricostruire la vita quotidiana e l’organizzazione dell’abitato, risalente a 3200-3500 anni fa circa (età del Bronzo). Le ricerche hanno permesso di recuperare elementi di strutture abitative, come basamenti di muri in ghiaia grossolana e pietrisco; molti focolari di diversi tipi e funzioni e un probabile forno; vasellame, strumenti e suppellettili di uso domestico (come fusaiole e alari), e una grande fossa con molti vasi impilati in attesa di essere riciclati per la costruzione e il rifacimento dei piani dei focolari. Il villaggio, noto come Canale Anfora, era già stato oggetto di indagini nel 2013. Esteso oltre 10 ettari, il sito presenta, per quanto riguarda lo stile della ceramica, elementi di similitudine con i castellieri istriano-carsici dell’età del bronzo, e fu sede di una comunità stabile per circa 300 anni. 

Gli scavi sono condotti in collaborazione con la Soprintendenza archeologia del Friuli Venezia Giulia che, nel 1980, individuò il sito nell’area umida presso quello che in età romana sarebbe stato il Canale Anfora. La missione archeologica a Ca’ Baredi rientra nel progetto “Aquileia prima di Aquileia” incentrato sullo studio del territorio dove, nel II secolo a.C., sorse la colonia romana. Il progetto è promosso dal dipartimento di Storia e tutela dei beni culturali dell’ateneo, sotto la direzione scientifica di Elisabetta Borgna, e dalla Soprintendenza, che cura il coordinamento con il soprintendente Luigi Fozzati. 

Il sito. Il villaggio era dislocato al margine della laguna, su un dosso formato da un antico alveo del fiume Torre. Una posizione strategica per la vita di una comunità coinvolta in intense relazioni a lunga distanza, soprattutto per quanto riguardava il rifornimento e la distribuzione del metallo di provenienza alpina lungo le rotte costiere e marittime. 

«I primi dati – spiega Fozzati – furono ricavati da un saggio di scavo, condotto dalla Soprintendenza nel 1980 e negli anni seguenti, che portò in luce strutture lignee pertinenti all’abitato, forse cinto da palizzata e circondato da un fossato». Ai risultati della prima campagna del 2013, «inizio di una nuova fase di ricerche – sottolinea Borgna –, si aggiungono ora preziose informazioni sui modi di vita e di aggregazione della comunità». 

Il villaggio. Ciò che fa di Canale Anfora un centro di grande rilievo tra la bassa pianura e il mare, pur nell’ambito di un territorio già significativo per la densità di popolazione, è una serie di evidenze non comuni che definiscono un’area specializzata, posta a margine del villaggio in prossimità del fiume, dedicata all’accensione di fuochi per la preparazione e il consumo del cibo, con episodi che si ripetono a cadenza ciclica. 

La vita della comunità. Secondo una prima, ma attendibile ricostruzione degli studiosi dell’Università di Udine, è già possibile delineare le caratteristiche del villaggio e della vita che conducevano i suoi abitanti. Ampie piattaforme di limo selezionato di dimensioni ragguardevoli erano predisposte per la realizzazione di numerosi focolari all’aperto che documentano diversi sistemi di cottura e trasformazione del cibo. Questi apprestamenti, nel corso del tempo, venivano ripristinati subendo solo lievi spostamenti, forse in rapporto a ricorrenze regolate dai cicli stagionali. Le strutture e il vasellame rinvenuto fanno pensare a un contesto di attività extradomestiche, verosimilmente cerimoniali, praticate in occasioni festive di aggregazione comunitaria. Durante la media età del bronzo (XVII-XIV secolo a. C. circa), i membri della comunità di Canale Anfora si riunivano in occasioni conviviali con gruppi provenienti da villaggi limitrofi, per agevolare lo svolgimento di attività di scambio e mercato. 

«La consistenza demografica, il grado di coesione e le capacità di cooperazione della comunità che abitò la prima Aquileia – spiega Borgna, docente di archeologia egea e preistoria e protostoria – possono essere dedotte dalle imponenti opere di costruzione che fecero seguito, verosimilmente all’inizio della tarda età del bronzo, intorno al 1300 a.C., alla fase di uso dei grandi focolari». 

Allora l’intera area venne bonificata e il livello ne fu rialzato con la realizzazione di consistenti riporti di terreno sterile e muri d’impasto di limo crudo, secondo una tecnica costruttiva ben nota nel comprensorio dei castellieri friulani dell’età del bronzo. 

«Nei livelli superficiali, purtroppo fortemente danneggiati dai lavori agricoli – spiega Borgna –, la scoperta di frammenti di strutture abitative, di un focolare associato a un forno, di una fossa con ceramica da riciclare per la costruzione e il ripristino delle strutture adibite all’uso del fuoco, offrono indizi di grande interesse per la ricostruzione delle pratiche domestiche e della vita quotidiana del villaggio durante le fasi evolute dell’età del bronzo». 

Dallo scavo al laboratorio. Questa ricostruzione andrà ora integrata da altre importanti informazioni frutto di studio in laboratorio e a tavolino. I numerosi resti organici raccolti quest’anno saranno sottoposti ad analisi di laboratorio e dovrebbero fornire preziosi elementi conoscitivi sui prodotti di sussistenza consumati e i regimi alimentari adottati. Inoltre, lo studio della varia e abbondante ceramica recuperata consentirà di mettere a punto la cronologia dell’intero complesso e di meglio definire appartenenze e contatti culturali della comunità che precedette quella della colonia romana. 

La campagna archeologica a Ca’ Baredi è finanziata dalla Soprintendenza con fondi del Ministero dei Beni culturali e affidata sul campo al Laboratorio di preistoria e protostoria dell’Università di Udine, coordinato da Elisabetta Borgna e Susi Corazza. L’indagine ha coinvolto anche una dozzina di studenti dei corsi di laurea triennale in Conservazione dei Beni Culturali e magistrale in Scienze dell’antichità. 

«I risultati di questa campagna di scavo – sottolinea Fozzati –, e l’esperienza finora maturata sul campo nelle grandi aree archeologiche italiane, confermano la validità e l’importanza della stretta collaborazione con le unità di ricerca di tipo universitario, in possesso delle competenze specifiche e delle strutture più adeguate per lo svolgimento di studi, analisi e azioni di tutela, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti di tipo sperimentale».

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