Nell’ambito del programma di cooperazione transnazionale “Spazio alpino”

L’Università di Udine studia sostenibilità e fattibilità del Corridoio V e sue ramificazioni

Progetto europeo sulle grandi infrastrutture nell’area alpina
approvato e finanziato dall’UE per circa 2 milioni di euro

Il coordinatore Sandro Fabbro: «Per evitare ritardi ed effetti perversi, necessario definire strumenti di pianificazione e gestione con il coinvolgimento dei territori»

Delineare politiche, strumenti e procedure per un più condiviso approccio alla complessa materia delle grandi infrastrutture, in particolare in aree socialmente e ambientalmente molto delicate come quelle alpine. È l’obiettivo del progetto “Poly5 - Pianificazione policentrica dello sviluppo locale nei territori interessati dal Corridoio V e dalle sue ramificazioni”, presentato dal Dipartimento di ingegneria civile e architettura dell’Università di Udine, assieme a un numeroso partenariato nazionale e internazionale, approvato e finanziato per circa 2 milioni di euro nell’ambito del Programma europeo di cooperazione territoriale “Spazio Alpino” 2007/2013. Il coordinamento scientifico del progetto, che si concluderà nel 2013, è affidato a Sandro Fabbro, docente di pianificazione territoriale all’Università di Udine, da tempo impegnato sui temi della fattibilità dei corridoi europei.

Il progetto coinvolge, con il dipartimento dell’Ateneo friulano: le Università Tecniche di Vienna, di Losanna e, in prospettiva, di Monaco di Baviera; la Regione Veneto; la Provincia di Torino come “lead partner” e quella di Gorizia; l’Agenzia di sviluppo dell’area di Lubiana; il Comitato promotore della direttrice ferroviaria europea Transpadana; il Consiglio Generale della Savoia; il Land della Carinzia.

“Poly5” si occuperà della predisposizione di strumenti per una pianificazione e gestione delle scelte connesse con la realizzazione del Corridoio V, in particolare nelle tratte alpine transfrontaliere con la Francia, a ovest, e con la Slovenia, a est, e sui nodi delle sue diramazioni dirette verso l’Austria e la Germania. Partendo dai problemi emersi in situazioni reali «si cercherà di operare una ridefinizione di strumenti, processi e buone pratiche – spiega Fabbro - che possa interessare non solo le Regioni e Province italiane ricadenti sul Corridoio V e le sue diramazioni, ma anche le altre regioni alpine europee, appartenenti a stati membri e non, interessati dai corridoi europei che attraversano questa grande area centro-europea».

In particolare, «cercheremo di capire - aggiunge Fabbro - quali sono le buone pratiche che scaturiscono dal lavoro che sta conducendo l’Osservatorio sulla TAV Torino-Lione, ai fini della costruzione di un più ampio consenso nelle valli alpine piemontesi. Cercheremo di fare nostre le buone pratiche dei francesi, che hanno realizzato una importante rete di alta velocità anche grazie ai loro metodi di decisione pubblica e di implementazione dei grandi cantieri. Considereremo come sloveni, austriaci e tedeschi si misurano con problemi decisionali difficili, che richiedono conoscenze e valutazioni appropriate, che in Italia sono state spesso trascurate». Gli esiti finali «potranno essere di grande aiuto – sottolinea Fabbro - sia per la revisione delle metodologie della programmazione infrastrutturale a livello ministeriale e regionale, sia per la riprogrammazione in corso della rete dei grandi corridoi a livello europeo».

Quanto alla realizzazione del Corridoio V, dorsale che collega la Valle Padana con la Francia, a ovest, e con la Slovenia, la Croazia e l’Ungheria, a est, «vi è – afferma Fabbro - un grande ritardo sui tempi previsti e rischia di diventare una previsione illusoria. La tratta alpina transfrontaliera della Val di Susa è stata interessata da grandi ritardi e ciò soprattutto a causa di un approccio sbagliato all’intera questione dell’alta velocità che ha provocato, per anni, forme di rigetto e di rifiuto, da parte di quel territorio, dell’intero corridoio». Tale esperienza, con i successivi interventi correttivi, «ha dimostrato – conclude Fabbro - che per fare le grandi infrastrutture che servono al Paese e all’Europa bisogna coinvolgere i territori prima, e non dopo i progetti, e che con i territori vanno definite linee d’azione di un progetto territoriale complessivo».

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