Martedì 31 gennaio in apertura della seduta consiliare

Giorno della Memoria: orazione commemorativa di Andrea Zannini

Nella sede del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia

Martedì 31 gennaio a Trieste nella sala del Consiglio regionale si è svolta la commemorazione del Giorno della Memoria, che si celebra il 27 gennaio di ogni anno a ricordo delle vittime dell’Olocausto. L’orazione ufficiale è stata tenuta da Andrea Zannini, ordinario di storia moderna e direttore del Dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale dell'Università di Udine.

L'orazione ufficiale del professor Andrea Zannini è iniziata con una ricostruzione storica di quegli eventi. I primi prigionieri arrivarono ad Auschwitz nel settembre del 1940 e un anno dopo iniziarono le uccisioni di massa. Dei 1,3 milioni di persone che transitarono per quel campo di sterminio, 1,1 furono uccise: il 90% erano ebrei, assieme a 250mila polacchi, 23mila Rom e Sinti, ma anche prigionieri politici, criminali, asociali, emigranti, omosessuali, Testimoni di Geova. E poi, quelli che venivano definiti diversi e inferiori, uccisi per non intralciare la macchina tedesca lanciata alla conquista del Mondo.

Anche un numero impreciso di nostri corregionali venne deportato e morì ad Auschwitz o lungo il viaggio per un qualche campo di concentramento e di sterminio. Nel complesso, dalle province nord-adriatiche, Lubiana esclusa, furono inviate nei campi tedeschi circa 8220 persone, quasi un quarto dei deportati dall'Italia.

Zannini ha quindi ricordato il campo di detenzione di San Sabba a Trieste, gestito da una novantina di 'specialisti' venuti dai campi tedeschi, dove furono uccise nel forno crematorio tra le tre e le quattromila persone tra ebrei, partigiani sloveni, italiani e croati, dissidenti politici e semplici sospetti, donne e ragazzi di ogni età. I deportati politici verso la Germania dalla sola provincia di Udine furono 1158, di cui 58 donne; di questi, 673 morirono in campi di concentramento, 515 sopravvissero.

Ma gli stereotipi del bravo italiano e del cattivo tedesco - così ancora il docente - non aiutano però a capire ciò che accadde in queste terre: prima ancora dell'occupazione tedesca che seguì l'8 settembre '43 si era sperimentato il sistema dei campi di concentramento dei civili: a Gonars e a Visco, dopo l'annessione della Slovenia al Regno, migliaia di civili sloveni e croati, di Rom e Sinti, erano stati internati e tenuti in condizioni disumane. Circa 500 persone, comprese donne e bambini, vi morirono di stenti e di malattie.

Il Giorno della Memoria è stato istituito in Italia nell'anno 2000: ricordare - ha affermato Zannini - è senza dubbio doveroso, ma senza provare a capire le cause e le ragioni dell'Olocausto ci condanniamo ogni anno a ricominciare a ricordare da capo, così il Giorno della Memoria scade a ricorrenza celebrativa: 'Un quadro appeso a una parete', come ebbe a dire il sociologo polacco di origini ebraiche Zygmunt Bauman, recentemente scomparso.

A giudizio di Zannini, da parte di alcuni si è cercato di relativizzare l'Olocausto, sostenendo che in fin dei conti i genocidi appartengono alla storia dell'umanità, dimenticando la sua evidente unicità e novità. Altri hanno voluto affievolirne il senso addebitando ai gulag staliniani il primato storico del concentrazionismo, passando sopra alle grandi differenze ideologiche e materiali tra le forme di sterminio di massa attuale dai due totalitarismi. Vi è poi una categoria morale che tende ad affievolire la nostra capacità di comprendere l'Olocausto: quella di considerarlo il male assoluto, qualcosa di mostruoso e irripetibile, in fin dei conti estraneo alla natura dell'uomo.

L'Olocausto non può invece considerarsi una parentesi occasionale, ma un evento che ha le sue radici e la sua logica nella nostra stessa civiltà europea. I totalitarismi e la loro realizzazione più spietata, l'Olocausto, sono stati il frutto dell'incontro tra gli strumenti della modernità tecnologica e organizzativa da una parte, e le tensioni irrisolte della modernità politica e ideologica dall'altra.

Zannini ha pertanto sostenuto che ciò che un Paese non deve perdere non è la memoria, è la storia: dobbiamo studiare e insegnare a ripensare continuamente la storia dell'Olocausto e questo deve essere parte integrante della nostra società civile, della nostra idea di comunità civile.

Se la memoria a volte sbaglia, la storia dà la possibilità di avere dei punti fissi: uno di questi è il fatto che gli italiani di religione ebraica avessero contribuito all'unificazione e alla nascita del nostro Paese e dunque espellerli dalla nazione è stato un crimine che ha macchiato in primis la casa reale Savoia, che quelle leggi ha sottoscritto ed è stata meritatamente mandata in esilio dalla nostra Costituzione.

Oppure che le forze che hanno lottato contro il regime nazifascista - dai comunisti ai laici, ai moderati, ai cattolici, fino ai monarchici - tutte insieme, stanno alla base della Repubblica, delle nostre libertà politiche e civili.

La seconda chiave per far sì che il Giorno della Memoria non si trasformi poco per volta in una vuota celebrazione - ha ammonito Zannini - sta in un'altra parola dal significato antico: politica. Ridare credibilità e fiducia alla politica e alla 'res publica', cioè al governo, nella dizione latina dell'espressione, è obiettivo indispensabile per evitare che lo spettro sempre presente della dittatura si materializzi.

Le democrazie europee sono giovani, hanno qualche decina d'anni, massimo un secolo. Il progetto politico nato dalle ceneri dell'Olocausto, quello dell'unificazione europea - ha concluso - ci ha dato il più lungo periodo di pace interna che il Continente abbia mai sperimentato nella sua storia: 65 anni. Se si vuole rilanciarlo bisogna ridare alla politica quella dignità e quel prestigio che sembra aver perso perché, come ha scritto Cicerone: 'Il più alto uso della virtù che un uomo possa fare è quello di governare un popolo'.

 

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