Risultati pubblicati in copertina dalla rivista Dalton Transactions

Estrazione dell'uranio dal mare: un passo avanti verso l'abbattimento dei costi

Uno studio condotto dai ricercatori di Berkeley e Udine ha chiarito la chimica che sta alla base del processo estrattivo

Un passo avanti verso la diminuzione dei costi di estrazione dell’uranio dal mare, grazie al miglioramento dei materiali impiegati, arriva dallo studio - condotto al Lawrence Berkeley National Laboratory (Berkeley, California) e a cui collabora l’Università di Udine - della chimica che sta alla base di questo processo estrattivo. I risultati della ricerca hanno ottenuto ad agosto la copertina della rivista “Dalton Transactions” (vol. 44, nr. 31). La possibilità di mettere a punto processi economicamente sostenibili per l’estrazione dal mare dell’uranio, elemento strategico per la riproduzione di energia, il cui prezzo e disponibilità sono soggetti al mercato e agli equilibri geopolitici, viene studiata da ricercatori in tutto il mondo. Da decenni, infatti, è noto che il mare è una interessante miniera alternativa, circa mille volte più fornita di uranio di qualunque miniera terrestre finora conosciuta.

«Lo studio, in particolare, ha chiarito la chimica che sta alla base della selettività di alcune molecole-trappola per l’uranio», riferiscono Andrea Melchior e Marilena Tolazzi, docenti del Dipartimento di chimica, fisica e ambiente dell’università di Udine e che collaborano con il Berkeley Lab (LBL). Dunque, lo studio ha fornito un importante contributo per il miglioramento del sistema chimico di estrazione, che rappresenta attualmente l’approccio più promettente.

Per estrarre l’uranio dall’acqua di mare, si può utilizzare una “trappola” costituita da molecole capaci di legare selettivamente questo metallo, ancorate a un materiale plastico di supporto. Una volta recuperata dal mare, la “trappola” viene trattata per l’estrazione dell’uranio catturato dalle molecole supportate. «Questa tecnologia – precisa Melchior - è già testata, ma il costo per chilogrammo di uranio recuperato non è ancora competitivo con le altre fonti di approvvigionamento. Lo sviluppo di materiali migliori potrebbe diminuire i costi e, in futuro, diventare una reale alternativa alle miniere terrestri».

Lo studio è stato sviluppato al Lawrence Berkeley National Laboratory dal gruppo di ricerca di chimica degli attinidi, e in particolare da Francesco Endrizzi e Linfeng Rao, responsabile del progetto. Vi hanno collaborato per l’Università di Udine Andrea Melchior che, per questo progetto è stato invitato alcuni mesi presso il LBL, e Marilena Tolazzi che coordina il gruppo di Termodinamica e Modellizzazione del Dipartimento di chimica, fisica e ambiente di Udine. Il gruppo di Udine ha contribuito alla ricerca mediante modelli computazionali per spiegare a livello molecolare la struttura e quindi la selettività del sistema di cattura.

 

«La collaborazione dell’ateneo di Udine con il LBL – ricorda Melchior - dura già da qualche anno e ha portato alla pubblicazione di svariati articoli su prestigiose riviste scientifiche. La collaborazione sarà rafforzata in futuro anche grazie alla presentazione di un progetto di ricerca congiunto nell’ambito della cooperazione scientifica Italia-Stati Uniti 2016-17».

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