Lo studio è stato appena pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Genome Biology

Scoperto interruttore per “pensionare” le cellule anzitempo, evitandone la replicazione incontrollata, come accade nel cancro

Ricerca del gruppo di Biologia cellulare del DAME, sostenuta anche da Sarcoma Foundation of America

Che le cellule del nostro corpo ad un certo punto invecchino e vadano “in pensione”, smettendo di fare quello che hanno sempre fatto e cessando quindi la loro attività di replicazione, è una legge già scritta in partenza; un processo irreversibile e altamente complesso di cui ancora oggi, tuttavia, sfuggono molti aspetti e su cui ricercatori di ogni parte del globo continuano ad interrogarsi. E se è vero che si tratta di una condizione fisiologica legata in parte all’avanzare dell’età, la “senescenza cellulare” è anche un vero e proprio salva-vita: di fronte a mutazioni del DNA, capaci per esempio di provocare malattie come il cancro, il fatto di mandare una cellula in arresto proliferativo anzi tempo, interrompendone il ciclo vitale, consente di scongiurarne la proliferazione incontrollata permettendo così all’organismo di difendersi con efficacia da attacchi potenzialmente mortali. Ed è proprio sui meccanismi di modulazione e di controllo di questo complesso programma genetico, altamente regolato, che la ricerca sta facendo promettenti passi in avanti. A partire da quelli messi nero su bianco, dopo oltre 4 anni di sofisticate sperimentazioni, dal giovanissimo Gruppo di Biologia cellulare del Dipartimento di Area Medica (DAME) dell'università di Udine sulla prestigiosa rivista scientifica Genome Biology, del gruppo editoriale Springer-Nature, tra le più importanti nel settore (articolo).

«Acquisire conoscenze sulla regolazione epigenetica della senescenza è fondamentale per poter sviluppare, in futuro, promettenti approcci terapeutici destinati a colpire malattie come il cancro o patologie legate all’età - spiega Claudio Brancolini, coordinatore del Gruppo di ricerca del DAME, mentre ricorda il prezioso contributo, allo studio, degli scienziati dell’Università La Sapienza di Roma nonché i finanziamenti di Sarcoma Foundation of America e del progetto EPIC INTERREG Italia-Austria che hanno così permesso il successo della ricerca - Attraverso questo lavoro abbiamo dunque individuato un nuovo regolatore epigenetico, oltre a quelli che già erano noti da tempo, e che risponde al nome di HDAC4, responsabile per la ri-organizzazione del genoma nella cellula senescente».

Utilizzando tecniche di modificazione del genoma, conosciute come CRISPR-Cas9 (Premio Nobel 2020) ed eseguendo mappature epigenomiche molto raffinate, il team ha dimostrato dunque che «proprio la proteina HDAC4 viene degradata durante la senescenza – continua Brancolini, sottolineando la coralità di un lavoro di squadra altamente innovativo e firmato anche dai ricercatori Eros di Giorgio, Hari Paluvai, Emiliano Dalla, Raffaella Picco, Martina Minisini e Liliana Ranzino - e questo permette l’attivazione di particolari regioni del genoma, definite enhancer e super-enhancer, che funzionano come direttori d’orchestra per attivare il programma di senescenza. In sintesi, spegnere questo regolatore epigenetico, permette alla cellula di invecchiare mettendo fine al ciclo vitale e alla sua capacità di replicazione».

Un check point di cui nessuno, sino ad oggi, aveva dunque scorto il ruolo di controllo all’interno di questo sofisticato processo, con importanti implicazioni nell’invecchiamento e nel cancro; una sorta di «sveglia al contrario che dev’essere dunque disattivata affinché la senescenza abbia inizio – sintetizza Eros Di Giorgio, ricercatore AIRC, Fondazione da sempre impegnata nel forte sostegno e nel potenziamento della ricerca oncologica nel nostro Paese – Di strada da fare ce n’è ancora moltissima; dal punto di vista pratico, attraverso il nostro lavoro, siamo comunque riusciti a richiamare l’attenzione sull’esistenza di questi meccanismi epigenetici molto sofisticati che influenzano l’invecchiamento cellulare. Fino a questo momento – continua Di Giorgio, ripercorrendo gli sforzi e il quotidiano impegno profuso in oltre 50 mesi dal motivato team di giovani ricercatori - si pensava che questo processo fosse soltanto un meccanismo di allarme, per spronare il sistema immunitario a riconoscere le cellule invecchiate e ad eliminarle così da promuoverne il ricambio. Oggi sappiamo invece che, oltre a questo, c’è soprattutto la necessità di mantenere la cellula il più possibile integra ed in buona salute bloccando così l’accumularsi di alterazioni che alla lunga sono responsabili del cancro».

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