Convegno organizzato dall’Università di Udine

La ricetta indiana per il progresso tecnologico

Una via all’innovazione che presenta
anche alcuni paradossi

L’India ha bisogno del mondo, ma tra qualche anno il mondo avrà bisogno dell’India. Attorno a questa previsione è ruotato l’incontro tenutosi oggi, venerdì 15 febbraio 2008, a Udine Fiere nell’ambito della terza edizione di InnovAction per riflettere su La via indiana all’innovazione. Una via, ha ricordato introducendo l’evento, Furio Honsell, che non è però esente da paradossi. “E’ molto facile essere esclusi da questo processo di crescita”, ha spiegato, “e una volta fuori è difficile rientrarvi”. Non è un caso se, nei dati sulla crescita indiana presentati durante la conferenza, è stato sottolineato come solo il 10 per cento della popolazione sia in possesso di conoscenze scientifiche e culturali avanzate.

“La crescita di Cina e India viene spesso paragonata, ma presenta caratteristiche molto diverse da un paese all’altro, tant’è vero che l’India è destinata, nel volgere di una ventina di anni, a superare il ritmo di sviluppo cinese”. Lo ha affermato G.B. Sidharth, direttore generale della Bm Birla Science, facendo notare come “nel 2005, il National Council Usa ha posto la Cina e l’India i più importanti competitori degli Stati Uniti in questo secolo, e ha previsto siano destinati a diventare i principali attori sul panorama economico globale”. India e Cina sono rispettivamente al terzo e quarto posto nel mondo per Purchaising Power Parity ( sistema di valutazione dei salari tramite parità dei poteri di acquisto). “L’India ha la più ampia middle class al mondo, con oltre 200-300 milioni di persone, conta una crescita annua media del 5 per cento dal 1980, e soprattutto il 25 per cento della sua popolazione, pari a 500 milioni di persone, è sotto i 25 anni”, ha precisato Sidharth.

La diversità tra la crescita indiana e quella cinese si fonda su diversi elementi. “La Cina ha puntato la sua economia sul settore manifatturiero, i bassi costi e la vecchia economia. L’India, al contrario, si è sviluppata sull’high tech e il settore dei servizi”, ha illustrato Sidharth. L’India ha puntato su università che producono scienziati e ricercatori che parlano inglese e studiano negli Usa, sulla lavorazione tecnologica anche nelle manifatture (per le quali si colloca al terzo e quarto posto al mondo), ma soprattutto “su un sistema aperto e democratico, che fa sì che le stesse realtà produttive indiane siano efficienti e rappresentino un buon investimento”. Non è un caso che il 12 per cento dei global designer engeneering service siano collocati in India, né che 20 delle 100 realtà comprese nella Magic List della Forbes abbiamo origina indiana, e neppure che il paese asiatico ospiti il 50 per cento dei Bpo nel mondo. L’India può contare su infrastrutture, biotecnologie, infrastrutture, fonti di energia, comunicazioni, ma soprattutto democrazia, stampa libera e istituzioni, che la pongono in vantaggio rispetto ai vicini cinesi. “Adesso l’India è la tartaruga, la Cina è il coniglio. Ma sappiamo tutti chi alla fine ha vinto la gara”.

Due aspetti della crescita indiana sono stati esaminati come significativi del panorama attuale: le biotecnologie e il National Innovation System. Per quanto riguarda le prime, i numeri presentati da Kavita Mehra, del National Institute of Science Technology and Development Studies di New Delhi, dicono tutto: 300 istituti presenti nel campo, oltre 15.000 dottori in ricerca che vi lavorano, 1.500 progetti di ricerca e sviluppo, investimenti passati dai 3.122 milioni di dollari del 1999 agli oltre 10.000 attuali. “E il futuro”, ha spiegato Mehra, è in crescita”.

Il merito è anche di uno stato che supporta lo sviluppo tecnologico con ingenti finanziamenti, creando il National Innovation System. “In India”, ha spiegato Alka Chadra, della National University of Singapore, lo sviluppo imprenditoriale è programmato e sostenuto dal governo, pur lasciando ampia libertà alle imprese”. Il Nis funziona tramite un’integrazione di diversi sistemi come imprese, università e centri di ricerca governativi, e fa dello Stato il principale investitore in ricerca del paese. “Basti pensare che il 68 per cento delle risorse investite nel campo dell’innovazione proviene da fonte statale”. Oltre a questo, poi, lo stato mette in campo anche interventi di aiuto alle imprese come la detassazione per dieci anni delle risorse per la ricerca e lo sviluppo.

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