Nell’ambito del “World heritage earthen architecture Programme”
Archeologia: collaborazione Friuli-Mali per la salvaguardia della città di Djenné
Dal 1988 sito Unesco, tra i più antichi e caratteristici esempi
di architettura di terra, oggi minacciata dall’espansione insediativa
Contribuire, attraverso campagne di scavi archeologici, alla conoscenza e conservazione di Djenné, in Mali, una tra le più antiche città dell’Africa occidentale, dal 1988 patrimonio dell’umanità Unesco. È l’obiettivo delle campagne di scavi archeologici sulla cui fattibilità discutono l’Università di Udine con la Sovrintendenza ai beni archeologici della città di Djenné, la Società friulana di archeologia e il Cevi – Centro di volontariato internazionale, nell’ambito del programma Unesco “Wheap - World heritage earthen architecture”, volto al miglioramento dello stato di conservazione e dell’amministrazione dei siti architettonici di terra nel mondo, di cui l’Università di Udine fa parte dal 2009.
Fondata nell’VIII secolo e divenuta importante centro commerciale e snodo per il traffico dell’oro attraverso il Sahara, Djenné è caratterizzata dalle tipiche abitazioni di fango e per la più grande e spettacolare moschea di terra. «L’obiettivo di un eventuale intervento in questa regione – spiega Mauro Bertagnin, docente di architettura tecnica dell’ateneo di Udine e consigliere scientifico Wheap – è la protezione di una regione unica al mondo nel suo genere, oggi minacciata dall’espansione insediativa».
Di questo si è parlato a Udine, nel corso dell’incontro con il sovrintendente e il sindaco di Djenné, rispettivamente Yamoussà Fané e Bamoyé Traouré, il direttore della Società friulana di archeologia, Massimo Lavarone e, per l’Università di Udine, Mauro Bertagnin, Daniele Morandi Bonacossi, direttore della missione archelogica in Siria, e Frederick Mario Fales, storico del vicino oriente antico. La giornata di studio, da cui è emersa «la disponibilità – annuncia Bonacossi – da parte della locale Sovrintendenza a concedere un’eventuale licenza di scavo», è stata utile «a individuare – riferisce Bertagnin - le possibilità di cooperazione tra le diverse istituzioni coinvolte e le possibile vie per il reperimento dei fondi necessari».