A 60 anni dalla frana del Vajont

Iniziative dell'Ateneo e dell'Ordine degli ingegneri

In occasione del 60° anniversario della tragedia della frana del Vajont del 9 ottobre 1963, l’Ordine degli Ingegneri, su proposta della Commissione Geotecnica ed Idraulica, con l’Università di Udine, ha organizzato un evento con finalità sia commemorativa che formativa, destinato principalmente ai professionisti occupati nel settore dell’ingegneria civile-ambientale e della geologia.

L’evento, coordinato dagli ingegneri Dario Fedrigo e Alberto Bolla, ha avuto luogo su due giorni, suddivisi tra convegno a Udine (il pomeriggio del 6 ottobre) e visita tecnico-didattica sulla grande frana (il 7 ottobre). L’iniziativa si è svolta in collaborazione con l’Ordine dei Geologi del Friuli Venezia Giulia, la Federazione degli Ordini del Friuli Venezia Giulia, delle Associazioni degli Ingegneri di Udine e dei Geologi del Friuli Venezia Giulia, e con il patrocinio della Regione, che ha peraltro messo a disposizione l’auditorium Comelli presso la sua sede a Udine.

Al convegno del 6 ottobre hanno partecipato circa 200 persone, tra ingegneri provenienti da tutta la regione e non solo, geologi, tecnici, e anche un nutrito numero di studenti, sia universitari che degli istituti superiori. Il fitto programma di interventi si è svolto dal primo pomeriggio e ha portato alla conclusione dei lavori nel pomeriggio inoltrato.

Il titolo dell’incontro “A 60 anni dalla frana del Vajont. Le nuove conoscenze per imparare dalla catastrofe” ne evidenziava gli obiettivi: da un lato condividere le conoscenze tecnico-scientifiche acquisite dall’evento ad oggi, in particolare i risultati degli ultimi studi in ambito geologico, geotecnico ed idraulico, e dall’altro porre l’attenzione al tema della sicurezza degli invasi in ambito strutturale, geologico, geotecnico e in relazione alla loro gestione.

La prima parte del convegno, dedicata agli aspetti più scientifici, è stata occupata dalle relazioni del professor Paronuzzi, del dottor Bolla e del professor Petti, rispettivamente sui temi geologici, geotecnici e idraulici che hanno caratterizzato l’evento della frana del Vajont. I docenti hanno messo in luce come le recenti conoscenze permettano di descrivere e capire meglio cosa sia successo non solo la notte del 9 ottobre 1963, ma anche negli anni precedenti al disastro. Il primo intervento ha consentito di ripercorrere l’evoluzione del “pensiero geologico” sulla frana del Vajont in questi 60 anni, in particolare sull’ipotesi, non sempre condivisa in letteratura, della presenza di una paleofrana sul versante settentrionale del Monte Toc. Dal punto di vista geomeccanico, interessanti spunti di riflessione sono nati dall’aver riconosciuto, grazie ai recenti studi, delle “zone di rottura” locali in grado di spiegare i movimenti pre-collasso del versante in frana causati dalle variazioni del livello del serbatoio creato artificialmente al suo piede. Lo studio idraulico, sviluppato sia con metodi analitici che con uno specifico e appropriato modello numerico, ha permesso di valutare le caratteristiche, a volte discordanti tra diversi autori, delle onde generate dallo scivolamento in blocco della frana nel lago, le quali poi scavalcando la diga hanno impattato sulla valle del Piave determinando distruzione e la morte di circa 2000 persone.

La seconda parte è stata poi dedicata al tema della prevenzione e del controllo: ha visto l’importante contributo di tecnici del Servizio Dighe nazionale (ingegneri Pannone e Sasso, geologo Maistri), di un tecnico dell’Ente gestore dell’impianto del Vajont (ingegner Chemello, Enel), di tecnici che a livello regionale si occupano di controllo di frane (geologo Kranitz, Servizio Geologico Regionale FVG) e del loro monitoraggio (geologo Stefanel). È stato interessante riscontrare come, attualmente, il monitoraggio delle dighe esistenti ed il controllo della loro capacità resistente, sia in termini strutturali che geotecnici, sia strutturato in modo rigoroso e sistematico. I tecnici del servizio dighe hanno descritto i frequenti controlli in sito, per registrare sia la conferma della stabilità di un’opera, sia l’evolversi di eventuali criticità già riscontrate. Unitamente a ciò, la gestione del rischio derivante dall’opera di invaso è coordinata assieme agli Enti preposti, sia a livello regionale che locale, il tutto sulla base di specifici protocolli delineati da un quadro normativo ben definito. A livello operativo, il contributo sia degli enti di controllo (Servizio Geologico Regionale) che dei professionisti specializzati, permette non solo di monitorare l’evolversi di instabilità accertate, ma anche di prevenirne l’innesco dando la possibilità di sviluppare specifici progetti di riduzione del rischio.

All’incontro in sala del venerdì è poi seguita la visita tecnica in loco nella giornata del sabato: questa, ha visto la presenza di circa 100 partecipanti, che suddivisi in 3 gruppi di circa 30 persone, e percorrendo un percorso ad anello, si sono alternati in altrettante stazioni, dedicate a temi specifici.

Uno step è stata la visita della diga: con la guida del geologo Bincoletto (Parco Naturale delle Dolomiti Friulane) i partecipanti hanno avuto una breve descrizione del contesto in cui è stato costruito il manufatto, arricchita di dettagli ben contestualizzati, il tutto attraversando la vallata sul percorso posto sul coronamento della diga.

Il secondo step era localizzato al cospetto della grande nicchia distacco della frana del 9 ottobre 1963: qui il prof. Paronuzzi ha avuto modo di ben illustrare le caratteristiche geomorfologiche dell’area, correlando le informazioni fornite il giorno precedente con quanto visibile in sito.

Infine, il terzo step era posto sull’enorme corpo di frana, 300 metri al di sopra della gola riempita del torrente Vajont: da lì il dottor Bolla ha spiegato quale sia stata l’evoluzione geomorfologica nel tempo del versante settentrionale del Monte Toc, con particolare riferimento alle caratteristiche dello scivolamento in blocco del 9 ottobre 1963, evidenziando gli effetti che il movimento franoso ha provocato sugli ammassi litoidi dislocati.

Il pomeriggio della giornata del sabato è stato infine dedicato ad un incontro con un testimone dell’evento, il perito industriale Rivis, presso il centro visite del Parco delle Dolomiti Friulane, messo appositamente a disposizione per quest’occasione ai partecipanti. Aiutato da una serie di slide, Rivis ha ricordato quello che era il Vajont in quegli anni, come era strutturato il sistema di gestione della diga, e come lui stesso abbia vissuto quella drammatica situazione, la sera del 9 ottobre e nei giorni seguenti. Una testimonianza toccante e unica, che ha catturato l’attenzione di tutti i partecipanti, e che nella fase finale si è arricchita di un vivace scambio di domande e risposte tra relatore e platea.

Un evento questo, quindi, che si può dire sia riuscito a coniugare gli aspetti scientifici di alto livello del primo giorno con sentimenti di profonda commozione nel secondo, che hanno raggiunto probabilmente l’apice con il racconto in prima persona di Rivis. Un evento nato a Udine, ma che ha abbracciato e coinvolto tutta la Regione, e tutte le professioni, nella convinzione che la tragedia del Vajont non ha confini, né professionali né geografici, ma era, è, e sarà, una vicenda che deve insegnare.

«Ci sentiamo – spiegano Bolla e Fedrigo – di esprimere i più sentiti ringraziamenti all’Ordine degli Ingegneri di Udine, per aver supportato questa iniziativa nata in seno della Commissione Geotecnica e Idraulica, di cui facciamo parte. Un ringraziamento va pure alla Regione Friuli Venezia Giulia e all’Università di Udine, senza i quali l’evento avrebbe avuto un carattere completamente diverso. Altrettanto importante è stato il contributo dell’Ordine dei Geologi del Friuli Venezia Giulia, in particolare nella persona del suo Presidente dott. Francesco Treu, che fin dal primo giorno si è adoperato per la buona riuscita di questa iniziativa, così come quello della Federazione degli ordini del FVG, e con essa i restanti Ordini degli Ingegneri regionali ed il Parco Naturale delle Dolomiti Friulane. Un particolare ringraziamento va rivolto all’Associazione degli Ingegneri e Architetti di Pordenone, per il suo attivo contributo all’organizzazione. Infine, molto sentito, un sincero ringraziamento va al sindaco di Erto-Casso, per l’aver voluto partecipare a questo evento portando la sua testimonianza, e con lui la voce di una Comunità che direttamente ha vissuto quell’immane tragedia che è “il Vajont”».