Indagine svolta nell’ambito del corso in Plurilinguismo e lingue speciali

Il "lessico della crisi", studenti della Scuola Superiore ne hanno individuato i tratti principali

Nell’italiano corrente parole angloamericane, blend, acronimi e sigle

È nata una “lingua speciale italiana della crisi”? È la domanda che si sono posti e a cui hanno dato risposta alcuni studenti della Scuola Superiore dell’Università di Udine. Martina Cita, Luca De Bortoli, Giovanni Miglianti, Rossella Santoro, Chiara Spizzo e Irene Squeo hanno, infatti, svolto un’indagine sul campo, nell’ambito del loro corso di studio in “Plurilinguismo e lingue speciali” tenuto da Raffaella Bombi, analizzando due fra i maggiori quotidiani on line italiani – Corriere della Sera e La Repubblica -, individuandone e analizzandone i neologismi alcuni dei quali non ancora registrati nello Zingarelli 2012, coniati per descrivere e parlare di argomenti legati alla crisi. «L’analisi – spiegano gli studenti - ha evidenziato un compatto nucleo di neologismi propri delle pratiche comunicative attuali che permetterebbero di circoscrivere un nuovo campo semantico che abbiamo definito “parole della crisi”».

«L’indagine – afferma Raffaella Bombi - ha fatto emergere dati interessanti per il linguista attento ai processi di rinnovamento lessicale e morfologico della lingua italiana, confermando come la forza dirompente di eventi, in questo caso economici, si riflette nella esponenziale creazione di nuove terminologie. Si tra creando sotto i nostri occhi, insomma, una varietà linguistica nuova, dinamica e diversificata che possiamo definire “della crisi”, i cui riflessi arrivano a toccare anche la lingua italiana».

La ricerca ha circoscritto, nell’uso scritto (e anche parlato) della lingua italiana, una serie di “parole della crisi” di origine angloamericana, quali ad esempio ‘default’, ‘spread’, ‘spending review’ e ‘credit crunch’. Inoltre, sono stati individuati blend (“parole macedonia”) – come ‘swaptions’, ‘Merkozy’ ed ‘Ecofin’ -, acronimi, come ‘Imu’, e sigle, come ‘Cds’ (credit default swap) o ‘Bce’ (Banca centrale europea). «Non sono mancati – spiegano gli studenti -, tecnicismi sorti attraverso fenomeni di travaso linguistico: ‘endorsement’, prelevato dalla lingua della politica e ora presente nel lessico della crisi, e ‘contagio’, prelevato dalla medicina; mentre forme gergali (quali ‘paccata’ o ‘non c’è ciccia’) convivono con forme colte (come ‘vulnus’)».

«Sappiamo – conclude Bombi - che la lingua è lo specchio di una cultura e della società e che ne rappresenta i sistemi di valore; ne consegue che, proprio per questo, è in continuo divenire. Per ‘stare al passo con i tempi’, la lingua si deve trasformare arricchendosi di terminologie nuove in grado di descrivere oggetti, concetti e situazioni che prima non esistevano. Continuamente compaiono, pertanto, termini nuovi, mentre altri scompaiono e altri ancora cambiano significato. Quello che è emerso dalla ricerca è una serie omogenea di creazioni, per la maggior parte di natura esogena, nate, cioè, per influsso dell’inglese e mutuate principalmente sotto forma di prestito linguistico cui spesso si affianca anche il calco».

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