7 Febbraio 2007
Quando la ricerca crea l’impresa Ecco il “modello Udine"
L’ateneo friulano in prima linea per promuovere la ricerca applicata,
diffondere la cultura d'impresa
e dare un sostegno all'esigenza di innovazione del sistema economico
Forse non tutti sanno che Hewlett Packard, Apple, Sun Microsystem, Cisco Systems, Logitech, Excite, Netscape e Yahoo! sono spin off di ricerca dell’Università di Stanford, che, stimolando ricercatori e studenti a trasformare la ricerca applicata in impresa, ha contribuito in modo decisivo a creare il contesto innovativo di eccellenza della Silicon Valley.
Anche sulla base di queste sperimentazioni di successo, più recentemente realizzate anche dal Massachusetts Institute of Tecnology di Boston, l’università di Udine da cinque anni è in prima linea per promuovere la ricerca applicata, diffondere la cultura d'impresa e dare un sostegno all'esigenza di innovazione del sistema economico. Un percorso che, partito con la partecipazione alla “business plan competition” Start Cup nel 2003 è arrivato alla creazione della fiera dell’innovazione InnovAction, passando attraverso tre vittorie del Premio nazionale dell’innovazione in quattro anni. Una strada intrapresa con decisione dall’ateneo udinese e costellata non soltanto da premi vinti, ma da un insieme coordinato di progetti e di risultati concreti nel settore del trasferimento tecnologico: 10 spin off, 38 brevetti attivi di cui 20 commercializzati, due laboratori misti “università-impresa”, un ruolo chiave nella realizzazione del Parco scientifico e tecnologico “Luigi Danieli” di Udine, attivo dal 2004 e attualmente in fase di ampliamento.
Da cosa è stata determinata questa spinta lo sa bene il rettore dell’università di Udine, Furio Honsell: “L’università in passato non ha creduto nella produzione di competenze trasversali, interdisciplinari e flessibili, che sono invece indispensabili per far decollare imprese innovative e per rendere più competitive le imprese consolidate in settori tradizionali. A Udine abbiamo avuto la consapevolezza che le implicazioni economico gestionali della propria attività è che ciò che caratterizza il modo di fare ricerca nella società della conoscenza. È la cifra della ricerca del XXXI secolo”.
L’ateneo di Udine, nato meno di 30 anni, forse proprio grazie alla sua giovane età sta facendo da apripista. Basti pensare ai dati sui brevetti. All’università di Udine i brevetti vengono gestiti non per stare nel curriculum dei professori ma per creare valore sul mercato. La performance è iniziata tre anni fa quando è avvenuto il balzo dal 24% del 2002 al 45% del 2003. Un risultato notevole soprattutto se si pensa che, dai dati del Cnr, emerge che nel 2003 il valore medio del trasferimento tecnologico per le università italiane si aggirava intorno al 13%. Rispetto allo stesso asse temporale, l’intensità del trasferimento tecnologico per l’ateneo friulano ha superato il 56%”. Sopra la media nazionale anche la produttività del trasferimento tecnologico, calcolata sulla base del rapporto fra le domande di brevetto e il numero di brevetti commercializzati ogni mille docenti dell’area scientifica: il dato di Udine nel 2004 è pari al 2,4%, mentre quello nazionale è fermo all’1,6%. I risultati concreti di questo processo non si sono fatti attendere: i ricavi cumulati dell’attività brevettale dai 200 mila euro del 2004 sono schizzati oltre i 600 mila euro alla fine del 2006, con costi che si aggirano intorno ai 300 mila euro.
Cos’è l’innovazione, dunque? “È una dinamica continua – sottolinea il rettore Furio Honsell -, a volte rivoluzionaria, molto più spesso incrementale, che nasce dal saper trovare soluzioni ai problemi che si è capaci di riconoscere e dal saper trovare miglioramenti ai processi che si gestiscono. E i problemi si riconoscono con lo spirito critico e si risolvono con le idee, proprio come avviene quando si riconosce l'esigenza di un miglioramento e si riesce a realizzarlo. Di innovazione in senso astratto si parla molto - conclude Honsell -, forse troppo, fino a svuotarla di qualsiasi contenuto operativo, facendola diventare luogo comune retorico. Se si vuole restituirle efficacia non bisogna solo predicarla agli altri, bisogna soprattutto essere capaci di realizzarla. L’innovazione è discontinuità che reca vantaggio competitivo. Si deve saper fronteggiare tutta la drammaticità della rottura con il passato, anche il proprio, e si deve comunque accettare la sfida della competizione”.