27 gennaio, Giorno della Memoria

(Foto: Ron Porter, Pixabay)

Il termine “genocidio” è stato coniato dall’intellettuale ebreo polacco Raphael Lemkin, di cui ricordiamo questo passaggio: “La nostra intera eredità culturale è il prodotto del contributo di tutti i popoli. Qualcosa che possiamo comprendere al meglio quando ci rendiamo conto di quanto più povera sarebbe la nostra cultura se i maldefiniti popoli inferiori sottomessi dalla Germania, come per esempio gli Ebrei, non avessero avuto il permesso di creare la Bibbia o di far nascere Einstein, Spinoza; se ai Polacchi non fosse stata data la possibilità di donare al Mondo Copernico, Chopin, Curie; ai Cechi Hus, Dvořák; ai Greci Platone o Socrate; ai Russi, Tolstoj o Šostakovič”.

Il ricordo della Shoah impegna ogni persona a riflettere sulle origini e sulle devastanti conseguenze di ideologie aberranti che cancellarono secoli di civiltà, facendo precipitare l’Europa e il mondo in una delle pagine più tristi della storia dell’umanità.

Ciò che un Paese non può e non deve perdere è la memoria, che si alimenta non solo con cerimonie commemorative, ma soprattutto attraverso lo studio di quello che è successo nell’Olocausto, affinché i valori di tolleranza, di eguaglianza e di confronto civile possano realmente radicarsi nel pensiero della nostra comunità.

Ora forse più che mai, a fronte di un preoccupante riaffiorare di ideologie violente e diffusi populismi, spetta alle Istituzioni e all’Università in primis, da sempre culla del libero confronto e dello sviluppo del pensiero positivo, ergersi a baluardo di civiltà, tolleranza e dialogo contro ogni forma di barbarie e di intolleranza.

Il Rettore

Roberto Pinton

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